Acqua in bocca, una guida contro le fake news sull’acquacoltura

Assorted fish on ice in seafood market

Troppe fake news sull’acquacoltura mentre non ci si rende conto della situazione attuale della pesca al limite della sostenibilità. Per fare luce su questa tecnica, arriva una guida pratica non solo per i consumatori ma anche per gli operatori del settore ittico. Si intitola Acqua in bocca! Guida per non diffondere… illusioni ittiche. Realizzata da Skretting (azienda norvegese che produce mangime per acquacoltura, con una sede italiana nel Veronese), in collaborazione con lo Studio Lce e con gli esperti Elisabetta Bernardi e Carlo Alberto Pratesi, è stata presentata a Pordenone, durante Aquafarm, la fiera internazionale dell’acquacoltura.

Basti un dato su cosa abbia comportato lo sfruttamento dei mari: su circa 34mila specie conosciute 2300 sono in pericolo, come riporta la Red List della Iucn (The International Union for Conservation of Nature). È evidente che con la crescita della domanda e una popolazione che arriverà nel 2050 a circa 10 miliardi la situazione rischia il collasso. Di qui la necessità dell’acquacoltura, le cui produzioni in Europa entro il 2030 aumenteranno del 41% per le specie di acqua dolce e del 112% per quelle mediterranee. Il dossier racconta allora in una serie di capitoletti perché dobbiamo convincerci che questa sia la scelta migliore. A cominciare dalla nutrizione.

IL PESCE FONTE NECESSARIA DI GRASSI OMEGA 3 – Il contenuto di grassi omega-3 in un pesce allevato dipende da quello che mangia. Ma il rapporto tra omega-3 e omega-6 è mediamente vicino al valore 1,5. Una misura ideale, che contribuisce ad abbassare un rapporto che nella dieta occidentale è oggi squilibrato verso un eccesso di omega-6 (il rapporto è 15 a 1).  Con i polifenoli, i grassi omega-3 sono uno degli alimenti al centro delle ricerche, fondamentali per spegnere le infiammazioni, alla base di molte patologie. Sono grassi essenziali, in grado di riequilibrare il sistema immunitario (oggi si sta assistendo all’esplosione delle malattie autoimmuni). E che solo il pesce rende pienamente biodisponibili.

DOVE SI TROVANO I GRASSI OMEGA-3 – Pesce azzurro come sardine, sgombri, aringhe, ma anche salmone ne sono ricchi. Sono presenti in misura minore anche nella trota, spigola, orata di allevamento. Al contrario, ne è povero il merluzzo. Si trovano anche nei vegetali come semi di lino, noci, semi di chia, ma in una forma meno biosiponibile (Ala), rispetto a quella nel pesce (Epa e Dha). Solo il 5% di Ala, ricorda la guida, viene convertito in Epa e solo lo 0,5% in Dha. Mangiando solo vegetali, dunque, non riusciremmo a coprire il fabbisogno di omega-3. Di qui l’invito a mangiare pesce almeno 2 volte la settimana.  Circa 200 grammi di pesce grasso o semigrasso la settimana, che sia di allevamento o pescato, ricorda il dossier, assicurano gli omega 3 necessari nella forma biodisponibile (1,75 grammi la settimana di  Epa e Dha, come prescrive l’Efsa). Il pesce di allevamento risulta, tra l’altro, più grasso e in genere ha maggiori contenuti di omega-3.

ALTRI NUTRIENTI DEL PESCE  – Tra i tanti nutrienti di cui è ricco, la vitamina D è altro elemento cruciale di cui spesso la popolazione ha carenza. Normalmente la ricaviamo dalla luce, di qui l’importanza nell’assunzione di pesce  grasso, soprattutto tra gli anziani.

IL GUSTO  – Troppi fattori impediscono di indicare una tesi netta sulle differenze tra pesce di acquacoltura e di cattura. Molto dipende anche dal metodo di cottura. Va privilegiato, spiega la guida, quello a basse temperature e brevi per non diminuire il contenuto di omega-3 (per l’eventuale frittura va utilizzato olio d’oliva). Ok la cottura al microonde.

TRACCIABILITA – Il pesce di allevamento è sottoposto a molti controlli durante la filiera, che permettono di sapere come e dove è stato allevato. Dunque garantisce un alto livello di sicurezza alimentare. Nell’Ue è vietato l’uso di ormoni. L’uso di antibiotici è consentito a scopo terapeutico ma è disciplinato da precisi parametri e tempi di utilizzo in modo che non ci siano tracce nelle carni. Le aziende extra Ue devono pertanto rispettare gli stessi standard del mercato di riferimento. Rispetto al pescato, di cui si conosce solo la macrozona e metodo di cattura senza sapere, per esempio, con quali contaminanti è venuto a contatto, quello allevato è tracciato  e controllato. La filiera del pesce allevato è inoltre più corta rispetto a quella del pescato con vantaggi in termini di freschezza.

FARINE ANIMALI – Nessun rischio per l’uso di farine animali per i pesci, che anzi contribuiscono all’economia circolare. Il divieto è stato rimosso dalla commissione Ue nel 2013 e rimane solo per quelle da ruminanti.

FAKE NEWS – Tra le tante che circolano in Rete, una delle più divulgate  è relativa al pigmento usato per le trote salmonate che sarebbe dannoso per la salute. Notizia falsa. Viene usato infatti un carotenoide come integratore, che ha al contrario benefici come sostanza antiossidante. Per i salmonidi si usa l’astaxantina, tra i più potenti antiossidanti (si trova anche nel cioccolato funzionale Esthechoc), usata anche per rendere più giallo il tuorlo dell’uovo. Altra fake news, l’uso di ormoni in allevamento. Non solo la pratica è vietata, ma sul pesce non hanno alcun effetto.  Mangimi pericolosi? Affatto, visto che sono strettamente controllati e gli eventuali conservanti utilizzati sono gli stessi utilizzati nell’alimentazione umana.

SOSTENIBILITÀ – Questo è un punto chiave, dato che il 60% degli stock ittici del mondo è sfruttato alla massima disponibilità. L’acquacoltura è l’unica riposta alla richiesta di pesce in aumento senza danneggiare ulteriormente gli ecosistemi. In quest’ottica va promosso l’utilizzo di farine a base di sottoprodotti di altre filiere per sviluppare un’economia circolare. Oggi si punta a ridurre l’utilizzo di oli e farina di pesce (meno sostenibili) con altre farine animali (la maggior parte delle specie sono carnivore) o vegetali, fino all’utilizzo di alghe e insetti. Quest’ultimi sono stati autorizzati  dall’Ue per l’acquacoltura nel luglio 2017. Già oggi, comunque, il 35% della farina di pesce utilizzata in acquacoltura deriva da scarti di lavorazione industriale.

WELFARE ANIMALE – Una buona gestione dell’allevamento significa poi rispettare il welfare animale, parametro che è sempre più considerato. Frequente è il ricorso a protocolli che prevedono il mantenimento di basse densità. E l’abbattimento, come in tutte le forme di allevamento, deve ridurre al minimo lo stress. L’ambiente deve poi rispettare tutta una serie di norme di sicurezza igienico-sanitaria.

VERSO L’AGRICOLTURA 4.0 – Sono tante le sfide di un sistema che guarda al futuro. Alimentazione di precisione (il mangime costituisce una delle principali voci di costo), biotecnologie e tecnologie digitali per ridurre i farmaci, cibo funzionale, nuove materie prime, utilizzo dell’intelligenza artificiale, impianti sempre più sostenibili, filiere sempre più integrate. Insomma, l’acquacoltura è già oggi il domani. Ma va comunicata.

di Daniele Colombo