Il ruolo del pesce nei piatti ready-to-eat

I piatti pronti al consumo sono sempre più un must nella distribuzione moderna. Perché fanno la differenza all’interno dei reparti freschi. E costituiscono uno dei pilastri su cui costruire una seconda vita per l’offerta dei freschi (grazie alla cucina interna, in diffusione crescente) e su cui impostare una consumazione anche direttamente nel pdv, quale alternativa immediata allo scaldare in forno a casa per un pasto pronto rapido.

All’estero si tratta di una consuetudine ormai consolidata: i pdv della gdo accolgono i clienti con aree dedicate al ready-to-eat soprattutto di piatti pronti freschi: un assortimento da mangiare, poi, in ufficio o a casa, oppure da consumare all’interno del punto di vendita, negli appositi spazi di ristorazione. Un modello alimentare (prima ancora che distributivo) che si sta affermando ora in Italia, ormai più vicina agli stili di alimentazione del resto d’Europa. Un fenomeno che balza agli occhi non solo negli store di vicinato, nelle aree urbane e centrali (laddove si concentrano uffici e luoghi di lavoro dei pendolari professionali), ma che si è diffuso anche negli ipermercati più grandi e periferici.

Una conferma ulteriore del fenomeno in atto è arrivata da una recente mattinata di analisi tenutasi a Milano davanti a un pubblico di operatori del mondo della grande distribuzione, sponsorizzata da Regnoli, con la partecipazione di Mark Up e di Nielsen. Il 38% dei clienti finali intervistati dalla ricerca Nielsen (1.000 interviste su acquirenti di piatti pronti ittici freschi in gdo) dichiara di consumare più spesso rispetto a qualche anno fa piatti pronti freschi, un dato netto rispetto a chi ha dichiarato di fare una scelta opposta (3%). E questo incremento di interesse si abbina con una sempre più interessante frequenza di acquisto, che va da una volta a settimana (36%) a più volte nel corso della stessa settimana (26%), fino a uno zoccolo duro di heavy user che acquistano tale tipologia di elaborati quotidianamente (5%).

Con un accentuato coinvolgimento della clientela maschile: fattore sul quale i retailer italiani non hanno ancora iniziato a lavorare in maniera pesante e strategica. Ma intendono farlo. Di rilievo, secondo Nielsen, è la motivazione che porta all’acquisto di piatti pronti freschi: per le donne è un risparmio di tempo in cucina (un’alternativa valida alla preparazione domestica), mentre per gli uomini è un risparmio di tempo nel fare la spesa (un’opzione differente di affrontare l’economia domestica in tema alimentare).

Due sono risultate le focalizzazioni prioritarie date dall’opera di approfondimento alla categoria merceologica. Da un lato si è trattato di analizzare l’incidenza della scelta ittica all’interno degli acquisti di piatti pronti freschi; dall’altro si è voluto far emergere un aspetto prettamente gestionale, riguardante la possibile collocazione dell’interno del percorso di vendita in negozio.

L’indagine qualitativa impostata da Mark Up ha confermato che il mondo della gdo italiana lavora tendenzialmente su un’esposizione in tre direttrici, creando un primo baricentro di libero servizio refrigerato generico, un secondo versante specializzato ittico e una terza opzione specialty legata alla gastronomia. A seconda della centralità del singolo punto di vendita nella strategia di canale e di rete, la triplice opzione viene esercitata nella sua interezza oppure in forme ridotte. Uno spartiacque importante è dato dalla presenza -o meno- del banco (dei banchi) assistiti che affiancano e rafforzano gli scaffali del libero servizio: opzione che le insegne legano in maniera determinante al ruolo che vogliono giocare su piazza, prima ancora dello sfruttamento degli spazi a disposizione. Tale spartiacque è molto accentuato nell’ambito dell’ittico: si tratta di un universo di prodotto relativamente giovane, in cui i retailer non hanno ancora compiuto tutte le sperimentazioni disponibili. Che si inserisce, fra l’altro, in un territorio di consumo nel quale la cultura del prodotto ittico non dimostra l’omogeneità riscontrabile in altri ambiti -si pensi per esempio alla prima colazione-, rendendo la scelta per una pescheria completa particolarmente complessa. Quantitativamente Nielsen conferma che la sovrapposizione dei punti d’interazione in libero servizio nei punti di vendita è bassa (8%), mentre ben più rilevante è il peso degli shopper esclusivisti di uno dei tre reparti espositivi: 28% per la pescheria, 24% per lo scaffale refrigerato generico; 17% per la vasca gastronomica.

Il significato operativo di tale evidenza è di doppia interpretazione. In prima istanza parrebbe che l’insegna sia nella disponibilità di gestire un assortimento ittico fresco pronto semplificato, che può trovare nella triplice esposizione a scaffale tre momenti differenti di interazione con la propria clientela, allargando la potenzialità di vendita realizzata. Ma è la seconda chiave di lettura -emersa con forza dalle dichiarazioni d’intenti dei retailer- a risultare progettualmente più interessante: il retailer può utilizzare i tre reparti per diversificare l’offerta, avvicinando in modo specifico tre tipologie di consumatori differenti. Impostando in tal modo anche una strategia precisa della forbice di prezzo che consenta alle singole insegne di essere (all’interno dello stesso negozio) sia convenienti, sia di giusto prezzo, sia gourmet.

È la stretta collaborazione con i fornitori che permette di finalizzare tale strategia: consentendo di caricare nel Ls generico i best-seller ad alta rotazione, portando nel Ls pescheria i prodotti più particolari, giocando invece nel Ls gastronomico i prodotti che meglio si integrano con l’ampiezza di scelta e l’elevata rotazione di proposte che da questo reparto si attendono sia i clienti d’impulso, sia gli heavy user plurisettimanali. Una collaborazione che consente all’insegna di salvaguardare la marginalità, che per i prodotti a base ittica è più elevata, a sostegno del buon andamento del conto economico generale. Non solo: la categoria si dimostra anche leva di fidelizzazione.

di Claudio Troiani