L’Italia assorbe la metà dell’export di acquacoltura greca

L’acquacoltura è un’eccellenza dell’industria greca che vale, secondo gli ultimi dati ufficiali della Fgm, Federation of Greek Maricultures, 546 milioni di euro nel 2017, circa il 60% del totale europeo, con una crescita media annua del 4% a volume, purtroppo non suffragata da un’adeguata crescita a valore. La causa principale è la concorrenza dei paesi extra europei, la Turchia in primis, non legati dalle normative europee, che abbattono i prezzi e costringono anche il prodotto greco al ribasso. Come rimediare a questa disarmonia del mercato? Grazie a un posizionamento diverso, distintivo, che permetta ai consumatori di scegliere consapevolmente quale pesce consumare. Nasce così il marchio-paese Fish From Greece, certificato da TÜV Austria in seguito a una gara, promosso da Hapo, la prima federazione degli acquacoltori greci, e sostenuto economicamente e filosoficamente dal ministero dello Sviluppo Rurale e dell’Agricoltura greco.

L’export ha un peso rilevante, vale 700 milioni di euro e per ovvi motivi logistici è diretto prevalentemente in Europa: circa il 50% va in Italia, 460 milioni di euro. La Grecia ha oltre 20 anni di esperienza nell’acquacultura, una storia che le permette anche di esportare alcune tecnologie come quella per la prima fase del ciclo di vita dei pesci, gli avannotti. Il mercato locale è articolato in tre diverse federazioni delle quali Hapo, Hellenic Aquaculture Producers Organization, rappresenta l’80% dei produttori e del fatturato totale dell’acquacultura greca, 12 mila addetti tra diretti e indiretti, e 21 aziende ubicate sulla costa ovest della Grecia, nell’area di Atene, a ovest della capitale e nelle isole. Prevalentemente si tratta di Pmi, infatti sono poche quelle che registrano i volumi più elevati, 4-5 in tutto, e solo lo 0,7% certificate bio, un mercato ancora troppo di nicchia in quest’area del Mediterraneo. La cooperativa è nata 3 anni fa a sostegno del prodotto greco: gli associati agiscono sul mercato in maniera indipendente, ciascuno con le proprie strategie, e finanziano Hapo con quote differenziate in base alla produzione, per progetti che coinvolgono tutti, dalla comunicazione al marchio-paese Fish From Greece. “Il marchio è stato lanciato a settembre -spiega Ismini Bogdanou, director of marketing & communication di Hapo- abbiamo giù un’azienda certificata e un’altra in fase di certificazione, ma ovviamente puntiamo a certificarle tutte”. Hapo paga di tasca propria le analisi e le tecnologie per apporre il tag al pesce, proprio per incentivare tutti a sottoscrivere il progetto. Le varietà interessate sono branzino, orata, pagro e ombrina boccadoro.

Cosa caratterizza il pesce prodotto in Grecia, e certificato, rispetto a quello allevato in altri paesi affacciati sul mare? “Abbiamo scelto il progetto di TÜV Austria perché era il più originale, innovativo e focalizzato su 4 pilastri -spiega Bogdanou- contenuto elevato di Omega 3, packaging e freschezza, sostenibilità, ambientale e sociale”. In una parola, il focus della certificazione è la freschezza: la garanzia che dalla pesca, che nell’acquacultura è mirata all’evasione di un ordine effettivo, quindi senza sprechi, fino alla spedizione passano solo 48 ore. In Italia dal mare alla tavola in 3 giorni, spedizione da Patrasso verso Ancona o Bari. Gli allevatori greci possono contare su un mare cristallino cui si sommano i requisiti della certificazione: cibo senza ogm per carni ricche di Omega 3, modalità di allevamento e di pesca a tutela del benessere animale. “Tra 2018 e 2019 abbiamo investito 1,6 milioni di euro nel progetto di certificazione -precisa Bogdanou-, altri 7 milioni di euro sono stati stanziati da qui al 2022, in cooperazione con il ministero dello Sviluppo Agricolo e degli Alimenti. Tra le attività programmate c’è anche la comunicazione, che punterà su freschezza, gusto, look e salubrità, mettendo in relazione il brand Fish From Greece con le tradizioni e la cultura della Grecia”.

di Barbara Trigari